BULGARI

di cotonfioc

Non ti ho raccontato la storia incredibile dei bulgari di un paio di anni fa, volevo ma poi è venuta fuori un’altra cosa. Non ti parlavo da tanti anni e quando ti ho vista mi è venuto un infartino, o un extrasistole come diresti tu che ami i termini tecnici. Succede che quattro bulgari che erano su un mercantile vengono sbattuti fuori bordo dal mare fortissimo, e vengono portati in elicottero all’ospedale del posto dove vivo, a parte uno che viene schiacciato da un container che lo ammazza. E il tizio della compagnia assicurativa esce dall’ospedale ed entra nella scuola di inglese dove lavoravo io che è un venti metri più avanti e dice “c’è qualcuno qui dentro che parla inglese?”

E allora incontro questo tizio bassottino e scuro con la faccia da venditore di auto usate al bar dell’ospedale, e lui mi offre un caffé e mi vende il lavoro come una cosa tipo passare una volta a inizio mattina e una volta di sera a vedere cosa dicono gli infermieri e via. Perché la compagnia gli garantiva un infermiere bilingue e invece lo farò io. Questo era appena prima del covid, per intenderci. I sopravvissuti sono tre. Mi fa malissimo il cuore ma davvero sono dovuto andare a cercarmi i messaggi per ricordare come si chiamano. In nessun modo, invece, posso trovare il nome del ragazzo che è stato ammazzato dal container. Aveva 24 anni.

1 sta in ortopedia mi pare.
Gli altri due stanno in intensiva? Questa è una cosa importante, te ne parlo dopo.


In intensiva (non mi ricordo bene) c’è il ragazzo più giovane, si chiama K_____, insieme all’altro marinaio, un uomo sulla cinquantina del quale non riesco in nessun modo a ricordare il nome.
Il giovane ha un pneumotorace. Questo è un termine tecnico, vedi. Vuol dire che ha dell’aria nel petto, ma dalla parte sbagliata dei polmoni. Mi metto là a fare traduzione simultanea con l’infermiera che è spazientita, e questo ragazzino con gli occhi ovviamente azzurri è spazientito pure lui. Non si capisce se lo devono operare, e la prima missione è che l’omino della compagnia assicurativa gli vuole dare 50 euri “per le spese” e lui non li vuole assolutamente. Non hanno le valigie, che sono rimaste sulla nave. E il vecchio invece si fa dare un foglio e mi fa scrivere con la mia grafia orrenda: Io V_____ (ho ricordato) in tale data ricevo 50 euro da tale omino assicurativo così che quello può firmarlo.

E questo foglio dovrebbe proteggerli in una maniera che non mi è chiara. Anche K_____ vuole un foglio uguale, ma omino assicurativo se n’è già andato. Glielo firmo io.

In ortopedia c’è un altro ragazzo sui 26 e la sua ragazza. Perché vedi, questo Vladimir-o-dimitri-o-altro aveva fatto salire la fidanzata sul mercantile senza dirlo a nessuno, e quella se ne stava nella sua stanza, e quando è successo il fattaccio non l’hanno presa con l’elicottero. L’hanno sbarcata a _____ _____ e poi portata (letteralmente portata in macchina da un tizio che stava al porto) all’ospedale. L’ospedale dice: questa ragazza sta bene, l’ospedale è per i malati, quindi fuori.

Questo Vladimir, o Dimitri, o una cosa del genere, è un bel ragazzone biondo con una gamba rotta. La fidanzata gli tiene la mano e ha dormito lì in stanza. Sono molto innamorati, e infatti lui sarà un po’ geloso domani, perché io passerò tutta la sera a camminare intorno all’ospedale con la sua bella fidanzata con gli anfibi, a cercare un posto dove farla dormire.

La gran parte del lavoro è farsi ammettere dentro i reparti. Questo lo sa chiunque abbia avuto qualcuno in lunga degenza. Il primo giorno entro come un parente normale che va nell’orario di visita, sono ossequioso, rimango fermo nella linea visiva di un infermiere, aspettando che qualcuno mi faccia la grazia. Basteranno i primi due giorni perché io diventi uno che si infila nelle porte, che dribbla gli infermieri, e che soprattutto guarda con disprezzo quelli che prendono l’ascensore. Se un infermiere starnutisce io gli passo tra le gambe e vado a fare quello che devo fare. Conosco tutti e tutti mi salutano. Quando entro nei reparti a volte devo portare messaggi di qualcuno che ha un parente, ma per qualche motivo non lo fanno entrare. Nessuno ha bene presente che tipo di figura io sia. Un segreto della vita è che se fai le cose con sicurezza la gente di solito ti lascia fare. Ti ho detto che ora insegno agli anziani. Un medico di quel reparto, ora in pensione, mi ha riconosciuto. Mi fa: tu sei un ambasciatore di emergency, mi ricordo. Un altro segreto della vita è che a volte basta non dire niente e lasciare che la gente arrivi alla conclusione che preferisce.

L’altra cosa è che ti devi fare i cazzi tuoi. Gli ospedali sono posti in cui tutti hanno bisogno di qualcosa. Se ti fai vedere fermo sono capaci di metterti una padella in mano e mandarti a pulire qualcuno. Il secondo giorno vado in stanza di Vladimir-o-Dimitri-o-altro, e c’è un vecchino piccolissimo che mi chiede

scusa mi aiuti a scendere dal letto?


E io gli avvicino uno sgabellino e lui peserà si e no 200 grammi, e mentre si alza mi accorgo che sotto il grembiule ha la borsa colostomica (non lo so se si chiama così) ma ormai non so che fare. E lui si avvia lentissimo per i corridoi e sento un’infermiera che urla:

SIGNOR  ______ MA COME HA FATTO AD USCIRE

e quando lo riportano in camera io mi faccio professionale e parlo fitto in inglese.

Con i marinai ho capito subito che bisogna parlare un inglese secco, ben scandito, senza parole difficili. 

Quando vengono dimessi, (tutti a parte Vladimir-o-Dimitri-o-altro che ha avuto la fortuna di rompersi una gamba e quindi l’ospedale letteralmente non trova un modo di sbatterlo fuori) abbiamo altri due problemi. Uno è quello di far cagare i soldi a questa cazzo di compagnia assicurativa. L’unico giorno in cui lascio omino assicurativo ad occuparsi della sistemazione di K_____ e del vecchio V_____, la padrona del b&b mi chiama disperata mentre faccio lezione: K_____ si è chiuso nella stanza e non vuole far entrare l’altro. è incazzato e lo sento urlare da dentro la stanza. Dice:

I DON’T SLEEP WITH HIM.

Quando arrivo penso che stia facendo i capricci e lo porto fuori, ma quando rimaniamo da soli mi dice che il suo amico è morto perché il vecchio li ha costretti ad uscire ad allacciare un container che si era slacciato, anche se non potevano, perché le regole dicono che non si deve uscire sul ponte quando il mare supera una certa forza.

E mi dispiace e anche io un po’ odio il vecchio, che è un signore silenzioso che parla pochissimo inglese, ci tiene a pagarmi il caffè, e cerca continuamente di darmi una sigaretta.

E allora esco dalla porta del b&b e vado semplicemente in un altro, prendo una camera singola e dico di chiamare omino assicurativo e di far pagare tutto a lui. K_____, quando lo andrò a prendere la mattina dopo, mi apre e poi mi molla ad aspettarlo mentre si fa la doccia. Sul letto ci sono tre cartoni vuoti di pizza gigante che ha mangiato da solo. Due per cena, mi dice, e una per colazione.

L’altro problema è capire come fare a farli tornare a casa. Perché se K_____ ha dell’aria nel torace non può prendere l’aereo, per la pressione. E un giorno, infatti, rimango in un ufficio verdastro ad aspettare per quelle che mi sembrano ore, aspetto che dall’olimpo scenda questo cazzo di primario, che deve dire se questi poveri cristi possono tornare a casa in aereo. E questo primario ha un caschetto di capelli castani, è muscoloso, e a me sembra più l’allenatore di una squadra di calcio. E si scompiscia dalle risate alle mie domande anzi, si chiede che ci faccia io a tradurre, visto che in ospedale hanno una (una e basta?) infermiera romena.

Poi c’è la cosa di VLADIMIR-O-DIMITRI-O-ALTRO e della sua gambina rotta (all’inizio questo creava grande malcontento in omino assicurativo, che voleva metterli su un volo low cost ma aveva paura non ci fosse spazio per il gesso), perché non so per quale cosa l’ospedale non può mandarlo fuori in sedia a rotelle. E allora vado in un negozio di stampelle e vengo trattato con chiara ostilità dalla venditrice di stampelle. – Che tipo di stampelle? stampelle per un tipo alto così (fatto con la mano)-  e le anticipo di tasca. E tu sai che sono un cretino e che mi sono sono sentito furbissimo quando avevo convinto il tipo a pagarmi 30 euro per ogni mattina, senza sapere che ogni giorno sarei tornato a casa col buio. E una volta in ospedale mi arriva una telefonata dalla bulgaria, e una segretaria cerca di farmi dire che mi prendo la responsabilità delle scelte di trasporto, e io con sangue freddo gli dico che non prendo responsabilità di nulla, che non sono nessuno, e che al massimo parlino con il primario, e superata questa prova mi passano un uomo dalla voce fumosa, un capo dei capi bulgaro che mi dice:

When you come to Bulgaria, everything you need: you ask me.

VLADIMIR-O-DIMITRI-O-ALTRO mi spiega come funzionano i patronimici (tenendo stretta la coscia della sua ragazza), mi prende il telefono per farmi vedere sulla cartina il viaggio che dovranno fare, le ambulanze stanno guidando fin qui dalla bulgaria, e poi le imbarcheranno su un traghetto. Mi fa vedere il suo cellulare completamente spaccato, mi dice: io ho fatto il video, potevo dimostrare quello che ci hanno fatto, ma quando sono caduto fuori bordo si è rotto.

Alla fine una mattina la stanza dell’ospedale si riempie di infermieri che scherzano in bulgaro, parlano di me e mi circondano per stringermi la mano, e a me viene un po’ da piangere, e da ridere e non so cosa dire, faccio di sì con la testa. Quando esco nel parcheggio vedo una fila di ambulanze con i caratteri cirillici sopra e alzo tutti i due pugni in un timido segno di vittoria, e mi guardo intorno ma non c’è nessuno.

Io scrivo qualche volta diretto a te. Non ti offendere: è un dispositivo narrativo. Non fare come chi diceva, passando davanti ad una band, “tanto metà delle canzoni parlano di me”. Ti sembra una cosa carina da fare? Mi dispiace che le storie che voglio raccontarti siano spesso storie di ospedali, e infatti mi sono accorto adesso che ho finito che forse questa storia te l’avevo già detta ed eri tu ad avermi detto di scriverla. Fatto.