Che rabbi Roti, al ritorno dalla sua passeggiata mattutina, notate due lunghe gambe femminili, vulva e pelo arricciato, che sporgevano da un campo di girasoli, e, esattamente nove mesi dopo essersi agitato tra di loro, trovasse davanti alla sua porta un cestino di vimini non deve stupire: come l’arciere che voglia colpire un bersaglio in movimento deve aggiustare il suo tiro alle storture dell’arco, dell’aria e del mondo (e sarà preciso quindi un tiro storto, dove uno diritto sarebbe andato a vuoto) così Dio nel lanciare il suo pensiero lo vede storcersi nel volo che lo separa dal mondo, e quando l’errore, il difetto, la stortura riempie un certo terrapieno, questo trabocca e le stranezze di questo tipo abbondano. Può stupire invece il motivo per il quale il contenuto del cestino facesse indietreggiare, piena di meraviglia e disgusto, la folla di curiosi lì riunita nel vicolino del quartiere Ebraico di Amsterdàm: il bambino nudo che ciangottava all’interno aveva il viso e il corpo di una simmetria che mai in nessun caso si era vista nel mondo.
La simmetria che provoca la bellezza, mi confermerete, è più che altro un’asimmetria nascosta. Il corpo umano con i suoi umidi e secchi, morbidi e duri, spugnosi e cavernosi, è per definizione una macchina storta. All’ uomo che con pennello o matita voglia disegnare un uomo sulla carta si dirà che il cuore sta a sinistra e la milza a destra, e che gli occhi, i capezzoli, gli orecchi, le narici, non sono gemelli ma fratelli. Scrivi in bella scrittura, Michelino, se vuoi disegnare bene l’uomo: Le sopracciglia sono sorelle, NON gemelle.
Quello di cui parliamo e che provocava tanto chiasso nel vicolino, vicino alla sinagoga, nel quartiere ebraico di Amsterdàm, è un viso in ogni parte uguale a sé stesso, in cui non solo la parte sinistra è la parte destra, come una faccia appoggiata ad uno specchio (se in questo mondo non fossero storti lo specchio, l’occhio e persino la luce), ma in cui in qualche modo persino l’orecchio richiama la curva armoniosa del labbro, e così i piedini, appoggiati su un cuscino di velluto candido, le mani, l’ombelico, come se l’autore del bambino (immaginiamo ancora, impegnato nel disegno, il nostro volenteroso Michelino), avesse avuto un numero limitato di forme per rappresentarlo. Ecco Michelino, con solo queste curve e linee, disegnaci un bambino: verrà da sé come ogni parte del disegno ricorderebbe in qualche modo anche l’insieme, e come la piccola parte del dettaglio sarebbe anche ripetuta nell’intero. Le riflessioni che di seguito faremo, sopra la natura dello storto e del diritto, non ci distraggano dalla riflessione più importante: dove il simmetrico nelle mani dell’architetto dona a un palazzo qualcosa di eterno, una radiante solidità, che fa abbassare d’istinto la voce ai turisti e che dà da mangiare ai venditori di cartoline, messa nel volto di un bambino biondo trovato all’alba del cento ottantatreesimo giorno, esattamente alla metà di un anno bisestile, davanti alla casa di un rabbino, in un cesto, questo simmetrico produceva un effetto solo: una impressione di finzione invincibile, come un pupazzo di cera animato, e superata anche quella impressione, e riusciti a vincere il terribile brivido, guardando la fissa, vetrosa miopia degli occhi, una di incredibile, titanica, gallinacea stupidità.
Il pensiero di Dio, dicevamo, come la luce, per quanto velocemente scagliato, mira comunque a un bersaglio in movimento. Perché raggiunga il mondo il padreterno deve aggiustare la mira e compensare, e compensando generare un difetto. Questo difetto, l’asimmetria, è contenuto in tutte le cose del creato. Siamo, per così dire, creature approssimanti. Approssimando per avanzo o per mancanza, non percepiamo la precarietà del mondo. Sin dalle più piccole spirali sulla pelle delle mani, fino ai vetrini di specchi dell’iride e al cervello, siamo attrezzati di strumenti scaleni, e alle somme dei loro calcoli sbrigativi per buona misura aggiungiamo una generosa spolverata di intenzione, ed ecco che il mondo bene o male ci appare ben saldo, in piano, sicuramente un gran lavoro, pieno di dualismi e tao e in equilibrio. Gli specchi e la copula, diceva un saggio, sono encomiabili: perché moltiplicano gli uomini. Quando gli uomini sono tanti per tante mani passa anche il difetto, per tanti secoli ci siamo messi d’accordo: non ci interessa chi se ne occupa, ma che a fine giornata qualcuno si sia preoccupato di perderlo.
Rabbi Roti così rifletteva, in un sinodo di saggi in sinagoga, sulla spirale perfetta che c’è dentro i girasoli, che a loro volta sono fiori roteanti, o meglio fissi, visto che è tutto il resto che ruota intorno al sole. E precipitando in altri relativismi, e controintuitivi ribaltamenti di prospettiva, e controcampi e guardarsi dal di fuori, si interrogava su certe numerologie segrete, sugli equilibri di certi alberi misteriosi, e sulla mistica simmetrica in generale. “il bambino è il Messia” disse a un certo punto, come chi alza in naso da un problema di matematica. “Il bambino è sicuramente degno di nota”, rispose uno dal sinodo “ma più che altro a noi ricorda un pollo.”.
Ora, non è che Rabbi Roti fosse ricco, ma veniva da una famiglia così numerosa, e tanto unita negli affetti e negli intenti, da unire tutti i fondi, allora fondi veri, di moneta metallica, non di numeri su carta, in un solo palazzone al centro di Milano, gestito da parenti e uomini di conto, dove in ogni momento di ogni giornata qualcuno entrava e prelevava o abbandonava un pugno di monete. Tra il trambusto e il gran clangore di metallo gli incaricati dallo stato avevano un gran daffare ad archiviare i movimenti finanziari, ma la stessa archivistica di pergamena aveva ormai raggiunto un volume tale che veniva conservata in un altro edificio, poco distante. Ad andare e tornare, e verificare, i conti erano già tutti diversi e si doveva ricominciare da capo. Unite a questo il viaggio dei messaggeri da Milano ad Amsterdàm e capirete come nessuno potesse sapere esattamente quanto denaro avesse Rabbi Roti. Quando Rabbi Roti aveva bisogno di qualcosa mandava a prendere un baule di monete. Mai detto in numero, ma giusto il tanto che il messo riusciva a ficcarci dentro. Tant’è che pure lui, tra lo spendere poco ed il prestare, e non aver mai quasi cuore di chiedere indietro, ma comunque vedersi spesso restituire qualcosa in più da un debitore riconoscente, non aveva nessuna idea di quanto denaro possedesse, e di fatto questo denaro era, per ogni aspetto che può servire a noi, infinito. Cosa si fa con un bambino simmetrico, che crea disagio a chiunque lo guardi, che ricorda a tutti lo sguardo stolido di una gallina, che è stato concepito da un paio di gambe semi sotterrate in un campo di girasoli, e consegnato da mani invisibili, quando si dispone di denaro infinito? Lo si manda a studiare, e quando ci viene restituito per l’ennesima volta bastonato e coperto di piume dai monelli, si decide d’istruircelo da soli. Il bimbo (al quale serviva un nome palindromo, e pure di valore cabalistico, e che unisse il misticismo alla matematica e alle neuroscienze, ma che non avendo ancora al tempo nessuno, compreso il narratore, letto Hofstader, finirà invece per chiamarsi Otto) pagava caro il suo mirrorismo, ma per quanto le sue mani dritte in un mondo storto non fossero capaci di fare praticamente niente (vi ricordate dell’arciere? Quello è l’esempio) eccelleva in tutto quello che esulava dal concreto. La matematica, e la geometria, e la logica. Ma appena lo si metteva a misurare, o a fare un esercizio di disegno tecnico, Otto iniziava a lamentarsi: “non posso disegnare un segmento dritto, babbo, il metro è storto”. Rabbi Roti, disperato, portava il bimbo dal suo falegname. “Mi faccia un metro esattamente della forma che le dice mio figlio”, diceva. “Non so se serva a molto, babbo” Interveniva Otto, sconsolato. “per quanto tagli dritto è storto il legno”. Questo problema non sussisteva con tutte le cose simbolo di cose astratte. Per quanto siano brutte le palle di un pallottoliere, ne puoi contare davvero perfettamente quattro. E per quanto siano tutte diverse le tonalità usate per distinguerle non c’è assolutamente nessun dubbio che queste quasi rosse siano le unità e che quella quasi bianca sia una decina. Otto così non aveva alcun problema con la matematica astratta, e in realtà superava di gran lunga la concezione del tempo, muovendosi con grazia tra i più grandi innovatori della storia e traendone spiazzanti conclusioni riguardo al mondo, cosa che invece il narratore non ha idea di come fare, e quindi vi chiede di prenderlo sulla parola.
Questa però non è una storia di aritmetica, per quanto sia importante fare il punto dobbiamo muoverci più avanti nel tempo. Rabbi Roti è morto, Otto è adolescente, e avendo accesso un certo tanto di denaro, che è forse molto, forse poco, ed ogni volta che ne chiedi te ne danno, e quando era finito invece c’era da qualche parte un piccolo mucchietto, e il tempo di contarlo che ne arriva un altro, e in capo a un mese la stanza è di nuovo piena, decide di viaggiare intorno al mondo. Intanto si è munito di strumenti: ha, ad esempio, un coltello che si è fatto fare apposta. È quasi dritto, e taglia quasi bene. Si è fatto tutto un guardaroba che non cerchi di compensare le differenze tra le spalle. Ama gli scacchi, i girasoli, e fischietta. Fischietta in un tono che ovviamente a tutto il resto del mondo sembra sordo, ma se al mondo ci fosse stato un solo bicchiere di cristallo perfettamente accordato su una nota avrebbe probabilmente potuto incrinarlo facendolo risonare, come il nano di un altro libro migliore di questo. C’era al tempo in Olanda un pittore esperto nel dipingere girasoli. Ecco facciamoli incontrare, in Francia, un incontro fugace, tanto da non comparire nella storia vera. Vediamo come Otto, appena intravisto tra la folla, spinga questo pittore alla follia. Il suggerimento di un mondo simmetrico, questo mostruoso cambio di prospettiva, produce una ferita irrimediabile. Coprendola con strati di pittura si prova a nascondere la verità: il mondo è irrimediabilmente brutto. E allora bisogna darsi completamente alla stortura. Meglio di una simmetria bugiarda può essere una asimmetria sincera. Vediamo questo pittore per un’ultima volta: sta tagliandosi un orecchio.