cotonfioc

So my mum sends me a text asking if I know Demetrio Stratos and wants to do some kind of event

But the problem is in reverse:

Humans can build a castle of art
But no matter how tall
How distant
Life will eventually creep into it
(not unlikely how love ruins children)
And level it

BULGARI

Non ti ho raccontato la storia incredibile dei bulgari di un paio di anni fa, volevo ma poi è venuta fuori un’altra cosa. Non ti parlavo da tanti anni e quando ti ho vista mi è venuto un infartino, o un extrasistole come diresti tu che ami i termini tecnici. Succede che quattro bulgari che erano su un mercantile vengono sbattuti fuori bordo dal mare fortissimo, e vengono portati in elicottero all’ospedale del posto dove vivo, a parte uno che viene schiacciato da un container che lo ammazza. E il tizio della compagnia assicurativa esce dall’ospedale ed entra nella scuola di inglese dove lavoravo io che è un venti metri più avanti e dice “c’è qualcuno qui dentro che parla inglese?”

E allora incontro questo tizio bassottino e scuro con la faccia da venditore di auto usate al bar dell’ospedale, e lui mi offre un caffé e mi vende il lavoro come una cosa tipo passare una volta a inizio mattina e una volta di sera a vedere cosa dicono gli infermieri e via. Perché la compagnia gli garantiva un infermiere bilingue e invece lo farò io. Questo era appena prima del covid, per intenderci. I sopravvissuti sono tre. Mi fa malissimo il cuore ma davvero sono dovuto andare a cercarmi i messaggi per ricordare come si chiamano. In nessun modo, invece, posso trovare il nome del ragazzo che è stato ammazzato dal container. Aveva 24 anni.

1 sta in ortopedia mi pare.
Gli altri due stanno in intensiva? Questa è una cosa importante, te ne parlo dopo.


In intensiva (non mi ricordo bene) c’è il ragazzo più giovane, si chiama K_____, insieme all’altro marinaio, un uomo sulla cinquantina del quale non riesco in nessun modo a ricordare il nome.
Il giovane ha un pneumotorace. Questo è un termine tecnico, vedi. Vuol dire che ha dell’aria nel petto, ma dalla parte sbagliata dei polmoni. Mi metto là a fare traduzione simultanea con l’infermiera che è spazientita, e questo ragazzino con gli occhi ovviamente azzurri è spazientito pure lui. Non si capisce se lo devono operare, e la prima missione è che l’omino della compagnia assicurativa gli vuole dare 50 euri “per le spese” e lui non li vuole assolutamente. Non hanno le valigie, che sono rimaste sulla nave. E il vecchio invece si fa dare un foglio e mi fa scrivere con la mia grafia orrenda: Io V_____ (ho ricordato) in tale data ricevo 50 euro da tale omino assicurativo così che quello può firmarlo.

E questo foglio dovrebbe proteggerli in una maniera che non mi è chiara. Anche K_____ vuole un foglio uguale, ma omino assicurativo se n’è già andato. Glielo firmo io.

In ortopedia c’è un altro ragazzo sui 26 e la sua ragazza. Perché vedi, questo Vladimir-o-dimitri-o-altro aveva fatto salire la fidanzata sul mercantile senza dirlo a nessuno, e quella se ne stava nella sua stanza, e quando è successo il fattaccio non l’hanno presa con l’elicottero. L’hanno sbarcata a _____ _____ e poi portata (letteralmente portata in macchina da un tizio che stava al porto) all’ospedale. L’ospedale dice: questa ragazza sta bene, l’ospedale è per i malati, quindi fuori.

Questo Vladimir, o Dimitri, o una cosa del genere, è un bel ragazzone biondo con una gamba rotta. La fidanzata gli tiene la mano e ha dormito lì in stanza. Sono molto innamorati, e infatti lui sarà un po’ geloso domani, perché io passerò tutta la sera a camminare intorno all’ospedale con la sua bella fidanzata con gli anfibi, a cercare un posto dove farla dormire.

La gran parte del lavoro è farsi ammettere dentro i reparti. Questo lo sa chiunque abbia avuto qualcuno in lunga degenza. Il primo giorno entro come un parente normale che va nell’orario di visita, sono ossequioso, rimango fermo nella linea visiva di un infermiere, aspettando che qualcuno mi faccia la grazia. Basteranno i primi due giorni perché io diventi uno che si infila nelle porte, che dribbla gli infermieri, e che soprattutto guarda con disprezzo quelli che prendono l’ascensore. Se un infermiere starnutisce io gli passo tra le gambe e vado a fare quello che devo fare. Conosco tutti e tutti mi salutano. Quando entro nei reparti a volte devo portare messaggi di qualcuno che ha un parente, ma per qualche motivo non lo fanno entrare. Nessuno ha bene presente che tipo di figura io sia. Un segreto della vita è che se fai le cose con sicurezza la gente di solito ti lascia fare. Ti ho detto che ora insegno agli anziani. Un medico di quel reparto, ora in pensione, mi ha riconosciuto. Mi fa: tu sei un ambasciatore di emergency, mi ricordo. Un altro segreto della vita è che a volte basta non dire niente e lasciare che la gente arrivi alla conclusione che preferisce.

L’altra cosa è che ti devi fare i cazzi tuoi. Gli ospedali sono posti in cui tutti hanno bisogno di qualcosa. Se ti fai vedere fermo sono capaci di metterti una padella in mano e mandarti a pulire qualcuno. Il secondo giorno vado in stanza di Vladimir-o-Dimitri-o-altro, e c’è un vecchino piccolissimo che mi chiede

scusa mi aiuti a scendere dal letto?


E io gli avvicino uno sgabellino e lui peserà si e no 200 grammi, e mentre si alza mi accorgo che sotto il grembiule ha la borsa colostomica (non lo so se si chiama così) ma ormai non so che fare. E lui si avvia lentissimo per i corridoi e sento un’infermiera che urla:

SIGNOR  ______ MA COME HA FATTO AD USCIRE

e quando lo riportano in camera io mi faccio professionale e parlo fitto in inglese.

Con i marinai ho capito subito che bisogna parlare un inglese secco, ben scandito, senza parole difficili. 

Quando vengono dimessi, (tutti a parte Vladimir-o-Dimitri-o-altro che ha avuto la fortuna di rompersi una gamba e quindi l’ospedale letteralmente non trova un modo di sbatterlo fuori) abbiamo altri due problemi. Uno è quello di far cagare i soldi a questa cazzo di compagnia assicurativa. L’unico giorno in cui lascio omino assicurativo ad occuparsi della sistemazione di K_____ e del vecchio V_____, la padrona del b&b mi chiama disperata mentre faccio lezione: K_____ si è chiuso nella stanza e non vuole far entrare l’altro. è incazzato e lo sento urlare da dentro la stanza. Dice:

I DON’T SLEEP WITH HIM.

Quando arrivo penso che stia facendo i capricci e lo porto fuori, ma quando rimaniamo da soli mi dice che il suo amico è morto perché il vecchio li ha costretti ad uscire ad allacciare un container che si era slacciato, anche se non potevano, perché le regole dicono che non si deve uscire sul ponte quando il mare supera una certa forza.

E mi dispiace e anche io un po’ odio il vecchio, che è un signore silenzioso che parla pochissimo inglese, ci tiene a pagarmi il caffè, e cerca continuamente di darmi una sigaretta.

E allora esco dalla porta del b&b e vado semplicemente in un altro, prendo una camera singola e dico di chiamare omino assicurativo e di far pagare tutto a lui. K_____, quando lo andrò a prendere la mattina dopo, mi apre e poi mi molla ad aspettarlo mentre si fa la doccia. Sul letto ci sono tre cartoni vuoti di pizza gigante che ha mangiato da solo. Due per cena, mi dice, e una per colazione.

L’altro problema è capire come fare a farli tornare a casa. Perché se K_____ ha dell’aria nel torace non può prendere l’aereo, per la pressione. E un giorno, infatti, rimango in un ufficio verdastro ad aspettare per quelle che mi sembrano ore, aspetto che dall’olimpo scenda questo cazzo di primario, che deve dire se questi poveri cristi possono tornare a casa in aereo. E questo primario ha un caschetto di capelli castani, è muscoloso, e a me sembra più l’allenatore di una squadra di calcio. E si scompiscia dalle risate alle mie domande anzi, si chiede che ci faccia io a tradurre, visto che in ospedale hanno una (una e basta?) infermiera romena.

Poi c’è la cosa di VLADIMIR-O-DIMITRI-O-ALTRO e della sua gambina rotta (all’inizio questo creava grande malcontento in omino assicurativo, che voleva metterli su un volo low cost ma aveva paura non ci fosse spazio per il gesso), perché non so per quale cosa l’ospedale non può mandarlo fuori in sedia a rotelle. E allora vado in un negozio di stampelle e vengo trattato con chiara ostilità dalla venditrice di stampelle. – Che tipo di stampelle? stampelle per un tipo alto così (fatto con la mano)-  e le anticipo di tasca. E tu sai che sono un cretino e che mi sono sono sentito furbissimo quando avevo convinto il tipo a pagarmi 30 euro per ogni mattina, senza sapere che ogni giorno sarei tornato a casa col buio. E una volta in ospedale mi arriva una telefonata dalla bulgaria, e una segretaria cerca di farmi dire che mi prendo la responsabilità delle scelte di trasporto, e io con sangue freddo gli dico che non prendo responsabilità di nulla, che non sono nessuno, e che al massimo parlino con il primario, e superata questa prova mi passano un uomo dalla voce fumosa, un capo dei capi bulgaro che mi dice:

When you come to Bulgaria, everything you need: you ask me.

VLADIMIR-O-DIMITRI-O-ALTRO mi spiega come funzionano i patronimici (tenendo stretta la coscia della sua ragazza), mi prende il telefono per farmi vedere sulla cartina il viaggio che dovranno fare, le ambulanze stanno guidando fin qui dalla bulgaria, e poi le imbarcheranno su un traghetto. Mi fa vedere il suo cellulare completamente spaccato, mi dice: io ho fatto il video, potevo dimostrare quello che ci hanno fatto, ma quando sono caduto fuori bordo si è rotto.

Alla fine una mattina la stanza dell’ospedale si riempie di infermieri che scherzano in bulgaro, parlano di me e mi circondano per stringermi la mano, e a me viene un po’ da piangere, e da ridere e non so cosa dire, faccio di sì con la testa. Quando esco nel parcheggio vedo una fila di ambulanze con i caratteri cirillici sopra e alzo tutti i due pugni in un timido segno di vittoria, e mi guardo intorno ma non c’è nessuno.

Io scrivo qualche volta diretto a te. Non ti offendere: è un dispositivo narrativo. Non fare come chi diceva, passando davanti ad una band, “tanto metà delle canzoni parlano di me”. Ti sembra una cosa carina da fare? Mi dispiace che le storie che voglio raccontarti siano spesso storie di ospedali, e infatti mi sono accorto adesso che ho finito che forse questa storia te l’avevo già detta ed eri tu ad avermi detto di scriverla. Fatto.

purple mountains

dopo il concerto devo passare fradicio in mezzo a tutte le persone per andare a nascondermi in macchina dove pulisco questo corpo di carne con le salviette per i bambini e mi metto una maglietta gialla MAUI

(porta sempre un asciugamano)

If I could get my hands on this god
raining death and illness on my gentle friends well I would strangle him
and to the girl so beautiful that I felt
All my oldness and ugliness like a clear physical pain
And wanted to crawl to the center of the earth can you please

please

just kiss me just once and hold me

I’m lying naked on the couch crying, my face contorted and numb
paralyzed with my phone in my hand
blasting Purple Mountains and thinking
what would be a nice caption to post with the song then it hits me
this is how my friend must have felt
when he updated an ominous status before killing himself

and the fear that comes is very real this is not teenage gloom
It’s more something like a kidney failure 
or seeing in the mirror that both your eyes are dark yellow
and I think of calling my mum
but she has the same thing that I have
and I think of the two I’m the one who should receive these calls
(she was talking very poorly, desperately, in Spanish. She said she wanted to “get it back” because she was forgetting it.)
and it’s such a cold heartless thing to have in your head
so I delete all the HELP ME! texts I was about to send to my ex 

I’m going to keep pushing but soon I’ll have to rest.

SNRM

Eeeh Sanremo che posso dire io che barcollo con i tappini in un discount e non riesco a pensare insieme ad altri miserabili come me bombardati dalla musica terribile dell’italia che ripete tipo 400 ritornelli ossessivi insopportabili basati su piccoli pattern che ci fanno lampeggiare in crisi assoluta tutti i failsafe del cervello e ci scontriamo incazzati senza sapere perché e quando vado a dormire chiara ferragni buca il muro del rumore bianco che mi sparo in cuffia per non sentire la lettera che scrive per confortare sé stessa bambina dicendole che se ci credi veramente e sei ricca i tuoi sogni si avvereranno e dovrei toglierne un messaggio salvifico e invece riesco solo a vedere una sequenza angosciante di albe bluastre in cui una mia figlia ipotetica si alza rabbrividendo per andare a lavorare, devo mandatoriamente essere testimone della loro tenera gentilezza, della loro ironia pacata, dei loro animi sofferti e controversi e mi viene una rabbia gigante impotente forse paragonabile a quella di blanco che non sente bene la spia

Il pezzo di elodie meglio di altri cmq

CHIAMA QUANDO ARRIVI

Perché mi baci sopra i polsi e i gomiti?
Non son caduto dalla bicicletta
E non ti far vedere gli occhi lucidi
che non è l’ultima volta

queste persone che ci amano
da dove vengono? quanto hanno aspettato?
era una stanza bianca o un buco nella terra?
che cosa importa?

queste persone che ci amano
se se ne vanno, dove se ne vanno?
verso una stanza bianca o un buco nella terra?
quando ti senti scrivi
chiama quando arrivi

adesso la stanza è pulita
il giardino è in ordine
ed il mare è fermo
lo tiene fermo il peso della mia felicità
il miracolo della calma

chiama quando arrivi
sforzati di riposare
guarda bene da ogni parte
quando devi attraversare
se ti senti triste
se puoi cerca di non bere
che non è l’ultima volta

stammi bene
stammi bene.

Saturday Night Fever

The town is hell and slowly filling with liquid concrete. Tony maybe makes it out, he’s dumb and cruel, he can dance, but he’s getting old fast. The girls are all damned (their desperation is out of frame, their “boyfriends” are horny-hyena-children who work tiressly make sure nobody ever escapes). The ex-priest brother is already lost, hypnotized by the squallid disco lights. Maybe it wasn’t the barracudas after all.
Is there hope on the other side of the bridge? There is a body inside one of its pillars.
Cpr to the beat isn’t helping,
How deep is your love?
The bridge answers
Very deep, and freezing cold.

L’uomo Simmetrico

Che rabbi Roti, al ritorno dalla sua passeggiata mattutina, notate due lunghe gambe femminili, vulva e pelo arricciato, che sporgevano da un campo di girasoli, e, esattamente nove mesi dopo essersi agitato tra di loro, trovasse davanti alla sua porta un cestino di vimini non deve stupire: come l’arciere che voglia colpire un bersaglio in movimento deve aggiustare il suo tiro alle storture dell’arco, dell’aria e del mondo (e sarà preciso quindi un tiro storto, dove uno diritto sarebbe andato a vuoto) così Dio nel lanciare il suo pensiero lo vede storcersi nel volo che lo separa dal mondo, e quando l’errore, il difetto, la stortura riempie un certo terrapieno, questo trabocca e le stranezze di questo tipo abbondano. Può stupire invece il motivo per il quale il contenuto del cestino facesse indietreggiare, piena di meraviglia e disgusto, la folla di curiosi lì riunita nel vicolino del quartiere Ebraico di Amsterdàm: il bambino nudo che ciangottava all’interno aveva il viso e il corpo di una simmetria che mai in nessun caso si era vista nel mondo.
La simmetria che provoca la bellezza, mi confermerete, è più che altro un’asimmetria nascosta. Il corpo umano con i suoi umidi e secchi, morbidi e duri, spugnosi e cavernosi, è per definizione una macchina storta. All’ uomo che con pennello o matita voglia disegnare un uomo sulla carta si dirà che il cuore sta a sinistra e la milza a destra, e che gli occhi, i capezzoli, gli orecchi, le narici, non sono gemelli ma fratelli. Scrivi in bella scrittura, Michelino, se vuoi disegnare bene l’uomo: Le sopracciglia sono sorelle, NON gemelle.

Quello di cui parliamo e che provocava tanto chiasso nel vicolino, vicino alla sinagoga, nel quartiere ebraico di Amsterdàm, è un viso in ogni parte uguale a sé stesso, in cui non solo la parte sinistra è la parte destra, come una faccia appoggiata ad uno specchio (se in questo mondo non fossero storti lo specchio, l’occhio e persino la luce), ma in cui in qualche modo persino l’orecchio richiama la curva armoniosa del labbro, e così i piedini, appoggiati su un cuscino di velluto candido, le mani, l’ombelico, come se l’autore del bambino (immaginiamo ancora, impegnato nel disegno, il nostro volenteroso Michelino), avesse avuto un numero limitato di forme per rappresentarlo. Ecco Michelino, con solo queste curve e linee, disegnaci un bambino: verrà da sé come ogni parte del disegno ricorderebbe in qualche modo anche l’insieme, e come la piccola parte del dettaglio sarebbe anche ripetuta nell’intero. Le riflessioni che di seguito faremo, sopra la natura dello storto e del diritto, non ci distraggano dalla riflessione più importante: dove il simmetrico nelle mani dell’architetto dona a un palazzo qualcosa di eterno, una radiante solidità, che fa abbassare d’istinto la voce ai turisti e che dà da mangiare ai venditori di cartoline, messa nel volto di un bambino biondo trovato all’alba del cento ottantatreesimo giorno, esattamente alla metà di un anno bisestile, davanti alla casa di un rabbino, in un cesto, questo simmetrico produceva un effetto solo: una impressione di finzione invincibile, come un pupazzo di cera animato, e superata anche quella impressione, e riusciti a vincere il terribile brivido, guardando la fissa, vetrosa miopia degli occhi, una di incredibile, titanica, gallinacea stupidità.

Il pensiero di Dio, dicevamo, come la luce, per quanto velocemente scagliato, mira comunque a un bersaglio in movimento. Perché raggiunga il mondo il padreterno deve aggiustare la mira e compensare, e compensando generare un difetto. Questo difetto, l’asimmetria, è contenuto in tutte le cose del creato. Siamo, per così dire, creature approssimanti. Approssimando per avanzo o per mancanza, non percepiamo la precarietà del mondo. Sin dalle più piccole spirali sulla pelle delle mani, fino ai vetrini di specchi dell’iride e al cervello, siamo attrezzati di strumenti scaleni, e alle somme dei loro calcoli sbrigativi per buona misura aggiungiamo una generosa spolverata di intenzione, ed ecco che il mondo bene o male ci appare ben saldo, in piano, sicuramente un gran lavoro, pieno di dualismi e tao e in equilibrio. Gli specchi e la copula, diceva un saggio, sono encomiabili: perché moltiplicano gli uomini. Quando gli uomini sono tanti per tante mani passa anche il difetto, per tanti secoli ci siamo messi d’accordo: non ci interessa chi se ne occupa, ma che a fine giornata qualcuno si sia preoccupato di perderlo.

Rabbi Roti così rifletteva, in un sinodo di saggi in sinagoga, sulla spirale perfetta che c’è dentro i girasoli, che a loro volta sono fiori roteanti, o meglio fissi, visto che è tutto il resto che ruota intorno al sole. E precipitando in altri relativismi, e controintuitivi ribaltamenti di prospettiva, e controcampi e guardarsi dal di fuori, si interrogava su certe numerologie segrete, sugli equilibri di certi alberi misteriosi, e sulla mistica simmetrica in generale. “il bambino è il Messia” disse a un certo punto, come chi alza in naso da un problema di matematica. “Il bambino è sicuramente degno di nota”, rispose uno dal sinodo “ma più che altro a noi ricorda un pollo.”.

Ora, non è che Rabbi Roti fosse ricco, ma veniva da una famiglia così numerosa, e tanto unita negli affetti e negli intenti, da unire tutti i fondi, allora fondi veri, di moneta metallica, non di numeri su carta, in un solo palazzone al centro di Milano, gestito da parenti e uomini di conto, dove in ogni momento di ogni giornata qualcuno entrava e prelevava o abbandonava un pugno di monete. Tra il trambusto e il gran clangore di metallo gli incaricati dallo stato avevano un gran daffare ad archiviare i movimenti finanziari, ma la stessa archivistica di pergamena aveva ormai raggiunto un volume tale che veniva conservata in un altro edificio, poco distante. Ad andare e tornare, e verificare, i conti erano già tutti diversi e si doveva ricominciare da capo. Unite a questo il viaggio dei messaggeri da Milano ad Amsterdàm e capirete come nessuno potesse sapere esattamente quanto denaro avesse Rabbi Roti. Quando Rabbi Roti aveva bisogno di qualcosa mandava a prendere un baule di monete. Mai detto in numero, ma giusto il tanto che il messo riusciva a ficcarci dentro. Tant’è che pure lui, tra lo spendere poco ed il prestare, e non aver mai quasi cuore di chiedere indietro, ma comunque vedersi spesso restituire qualcosa in più da un debitore riconoscente, non aveva nessuna idea di quanto denaro possedesse, e di fatto questo denaro era, per ogni aspetto che può servire a noi, infinito. Cosa si fa con un bambino simmetrico, che crea disagio a chiunque lo guardi, che ricorda a tutti lo sguardo stolido di una gallina, che è stato concepito da un paio di gambe semi sotterrate in un campo di girasoli, e consegnato da mani invisibili, quando si dispone di denaro infinito? Lo si manda a studiare, e quando ci viene restituito per l’ennesima volta bastonato e coperto di piume dai monelli, si decide d’istruircelo da soli. Il bimbo (al quale serviva un nome palindromo, e pure di valore cabalistico, e che unisse il misticismo alla matematica e alle neuroscienze, ma che non avendo ancora al tempo nessuno, compreso il narratore, letto Hofstader, finirà invece per chiamarsi Otto) pagava caro il suo mirrorismo, ma per quanto le sue mani dritte in un mondo storto non fossero capaci di fare praticamente niente (vi ricordate dell’arciere? Quello è l’esempio) eccelleva in tutto quello che esulava dal concreto. La matematica, e la geometria, e la logica. Ma appena lo si metteva a misurare, o a fare un esercizio di disegno tecnico, Otto iniziava a lamentarsi: “non posso disegnare un segmento dritto, babbo, il metro è storto”. Rabbi Roti, disperato, portava il bimbo dal suo falegname. “Mi faccia un metro esattamente della forma che le dice mio figlio”, diceva. “Non so se serva a molto, babbo” Interveniva Otto, sconsolato. “per quanto tagli dritto è storto il legno”. Questo problema non sussisteva con tutte le cose simbolo di cose astratte. Per quanto siano brutte le palle di un pallottoliere, ne puoi contare davvero perfettamente quattro. E per quanto siano tutte diverse le tonalità usate per distinguerle non c’è assolutamente nessun dubbio che queste quasi rosse siano le unità e che quella quasi bianca sia una decina. Otto così non aveva alcun problema con la matematica astratta, e in realtà superava di gran lunga la concezione del tempo, muovendosi con grazia tra i più grandi innovatori della storia e traendone spiazzanti conclusioni riguardo al mondo, cosa che invece il narratore non ha idea di come fare, e quindi vi chiede di prenderlo sulla parola.

Questa però non è una storia di aritmetica, per quanto sia importante fare il punto dobbiamo muoverci più avanti nel tempo. Rabbi Roti è morto, Otto è adolescente, e avendo accesso un certo tanto di denaro, che è forse molto, forse poco, ed ogni volta che ne chiedi te ne danno, e quando era finito invece c’era da qualche parte un piccolo mucchietto, e il tempo di contarlo che ne arriva un altro, e in capo a un mese la stanza è di nuovo piena, decide di viaggiare intorno al mondo. Intanto si è munito di strumenti: ha, ad esempio, un coltello che si è fatto fare apposta. È quasi dritto, e taglia quasi bene. Si è fatto tutto un guardaroba che non cerchi di compensare le differenze tra le spalle. Ama gli scacchi, i girasoli, e fischietta. Fischietta in un tono che ovviamente a tutto il resto del mondo sembra sordo, ma se al mondo ci fosse stato un solo bicchiere di cristallo perfettamente accordato su una nota avrebbe probabilmente potuto incrinarlo facendolo risonare, come il nano di un altro libro migliore di questo. C’era al tempo in Olanda un pittore esperto nel dipingere girasoli. Ecco facciamoli incontrare, in Francia, un incontro fugace, tanto da non comparire nella storia vera. Vediamo come Otto, appena intravisto tra la folla, spinga questo pittore alla follia. Il suggerimento di un mondo simmetrico, questo mostruoso cambio di prospettiva, produce una ferita irrimediabile. Coprendola con strati di pittura si prova a nascondere la verità: il mondo è irrimediabilmente brutto. E allora bisogna darsi completamente alla stortura. Meglio di una simmetria bugiarda può essere una asimmetria sincera. Vediamo questo pittore per un’ultima volta: sta tagliandosi un orecchio.

BUMPER

Once I knew a girl who would always
answer accordingly
to the way you’d be moving your head

A yes for a nod and
A no
if you turned it from right to the left

We had her killing vampires for profit
we would tape wooden stakes to her back
We all called her “bumper” and a friend I had at the time
(who would soon be the first to have children)
used to finger her under a plaid

Teseo

Vediamo un uomo cercare un altro uomo: ha l’idea che esso sia un mostro.
Nella ricerca lo vediamo diminuirsi, distorcersi, dimenticarsi.
Nel trovare quello che cercava lo vediamo diventare un mostro.
Chi era l’uomo che cercava?
Il labirinto.

Obladà.

Si lanciano in faccia questa cosa con grandissima forza e slancio e il movimento plastico dello scagliare lo conservano un po’, è una posa da discobolo con tanto di muscoli gonfi e si vede anche che sono ben fatti di là sotto, mica come le statue greche, anzi ce l’hanno spesso come un polso umano e tutto pieno di vene. Fanno un bell’urlo ogni volta che si lanciano la cosa e la cosa quando li colpisce in faccia fa un bellissimo soddisfacente SPAFF e molti hanno già la faccia piena di sangue. La cosa lanciata pensa ogni volta che è in volo: “che sciagura mi è capitata di essere questa cosa piuttosto che un’altra cosa” e poi SPAFF si infrange su una bella faccia con gli zigomi in evidenza, e la raccolgono e la puliscono in malo modo sul tanga da lottatore per avere presa migliore, la asciugano molto vicino al loro aggeggio grosso come un polso umano e di nuovo la scagliano nell’aria e quella pensa ancora: “è una sciagura ma necessaria e perché solo dio sa a quale violenza di dedicherebbero non avessero questa distrazione di scagliarmi” e SPAFF di nuovo con grandissimo smacco e schiocco di sudore e sangue che poi alla fine son le cose che fanno un uomo vero, uno che possa mettere il suo bell’aggeggio grosso come un polso umano un po’ dove gli pare specialmente dopo aver dimostrato d’essere così abile in questo gioco virile dello scagliarsi in faccia la cosa, alla quale non resta che pensare “non è forse il caso di piangersi addosso, la vita va avanti alla fine, e se avessi un segno zodiacale sarebbe quello della pura sconfitta, disegnato quindi con un punto o una linea o qualcosa che non abbia niente di impressionante, che non sia in grado di imprimersi nella memoria, e dovrei ringraziare invece che mi asciughino spesso, anche se per avere una presa migliore, anche se così vicino al loro attrezzo.” E la si sente cantare con voce da eunuco: “shananana life goes on”.